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«Senza rendere le lunghe puntate»: il concetto di inégalité nell’annotazione di Beethoven allo studio n. 4 di  Cramer

Busto di Beethoven per spiegare inégalité nell’annotazione di Beethoven allo studio n. 4 di  Cramer.

L’inégalité in musica. Una riflessione sulla sovrapposizione e convivenza di ineguaglianza e piedi metrici agli inizi dell’Ottocento

Nell’ambito dei 21 studi di Cramer accentuati da Beethoven il piede di trocheo risulta essere quello maggiormente impiegato. Per non incorrere in un’incomprensione di questa prassi bisogna ricordare, però, che il suono lungo assorbe in sé anche il principio di quantità e non soltanto quello della durata, ovvero «la forza e la delicatezza dei suoni, l’accento». Scrive a proposito dell’interpretazione con la consueta chiarezza Carl Philip Emanuel Bach:

«Gli elementi dell’interpretazione sono la forza e la delicatezza dei suoni, l’accento, lo scatto, il legato, lo staccato, il vibrato, l’arpeggiato, le note tenute, il rallentando e accelerando. Chi non impiega questi elementi o li usa a sproposito, interpreta male».

LEGGI ANCHE: l’accentuazione in musica tra Sette e Ottocento

I trattati della seconda metà del Settecento e l’esecuzione con peso e durata diseguali tra due note

I trattati di interpretazione della seconda metà del Settecento richiedono un peso specifico diverso tra le note, sottolineandone anche la differenza di durata. Johann Quantz, nel suo Versuch einer Anweisung die Flöte traversiere zu spielen  (1752) infatti scrive con estrema precisione:

«Bisogna sapere fare nella esecuzione una differenza tra le note buone e le note cattive. Le note buone debbono sempre, purché si possa, essere più battute delle cattive. È necessario, secondo questa regola, che le note più preste siano suonate con qualche inuguaglianza nelle composizioni di un movimento temperato, o ancora nell’Adagio, ancorché sembrino all’occhio dello stesso valore, così che bisogna ad ogni figura appoggiare sulle note buone, cioè sulla prima la terza, la quinta e la settima, di quello appoggiar debbasi sulle cattive, vale a dire sulla seconda, la quarta, la sesta, l’ottava, abbenche le prime non debbano essere sostenute così lungo tempo, quanto essere lo debbono essendo appuntate».

(Vale la pena ricordare che la distinzione tra ‘note buone’ e ‘note cattive’ aveva una lunga radice nella musica italiana, già a partire dal Cinquecento). E poco oltre, a proposito di quartine di semicrome con coppie di note sotto legatura, ma anche con punto di staccato sulla prima semicroma e legatura sulle restanti tre, Quantz continua:

«Se si volesse per esempio suonare le semicrome della Tav. IX, fig. 1 sotto le lettere (k), (m), (n), lentamente nello stesso valore, questa esecuzione non sarebbe aggradita, come ella lo è se si appoggiasse alquanto sulla prima e sulla terza delle quattro note, e che si desse il tuono alquanto più forte di quello della seconda e della quarta nota. Ma non si osserva questa regola primieramente ne’passaggi presti, che siano in un movimento velocissimo, ed in cui’l tempo non voglia che siano suonati con inuguaglianza, ed in cui non si può appoggiarsi, ed usare forza, se non sulla prima nota delle quattro».

Leopold Mozart e la durata delle note

Anche Leopold Mozart in Versuch einer gründlichen Violinschule (1756) fornisce le stesse indicazioni riguardo a sostanza e durata delle note a coppia:

«L’accento cade sulla prima di ogni coppia che non solo va suonata più forte, ma va anche tenuta più lunga; la seconda va invece eseguita con delicatezza, leggermente e un poco in ritardo».

L’ineguaglianza di durata e quantità nei primi dell’Ottocento

Dette pratiche ebbero vita lunga.

Nel 1825, infatti, Johann Baptist Cramer, in Istruzioni per il Pianoforte afferma:

«Quando una legatura si trova su due note di egual valore la prima è suonata con più forza che la seconda, alla quale generalmente si dà la metà della consueta lunghezza. E ancora: «Questo segno (equivale a una forcella di diminuendo chiusa sul terzo lato) mostra che è necessario un allungamento sulla prima nota di ogni battuta, essendo la parte accentata. [Questo procedimento, n.d.r.] viene chiamato Enfasi».

In Il Maestro di Pianoforte Carl Czerny prescrive:

«Il primo suono delle note legate dev’essere più appoggiato e più risentito degli altri, segnatamente se sono di due in due».

E nel suo Metodo per il Piano-Forte (1839) anche:

«Essendo un de’ primi doveri del buon Suonatore quello di non lasciare mai gli uditori in dubbio della divisione del tempo, […] rendasi ben distinto e marcato ogni principio di battuta ed anche ogni sua parte in battere mediante un leggero accento […]. Ogni nota legata frammezzo a note staccate, dee sempre toccarsi, quando sia di uguale valore, con alquanto più forza. […]. E a proposito di note sotto legatura su tempi deboli: «La prima delle due note, qui legate con picciola legatura, dee sempre percuotersi con qualche maggior vigore».

L’inégalité in Francia

Il principio dell’ineguaglianza fu codificato principalmente nel XVII e XVIII secolo in Francia come tradizione musicale che non trovava riscontro alcuno con il testo scritto. Ovviamente facciamo riferimento a note per grado congiunto di un valore inferiore quattro volte a quello del denominatore del tempo di impianto di un brano lento (le semicrome nel tempo di 4/4, per esempio).

Il celebre paragrafo di François Couperin ne L’Art de toucher le Clavecin, a questo proposito, non lascia dubbi:

«Nel nostro modo di scrivere la musica vi sono, secondo me, difetti riferibili alla maniera di scrivere la nostra lingua. Fatto sta che la nostra scrittura è differente dalla nostra esecuzione, di conseguenza gli stranieri eseguono la nostra musica meno bene di quanto noi eseguiamo la loro. Gli italiani, al contrario, scrivono la propria musica con gli esatti valori che hanno pensato. Per esempio noi eseguiamo parecchie crome di seguito per grado congiunto come se fossero puntate, ma le scriviamo come se fossero uguali. La nostra consuetudine ci ha resi schiavi di un’usanza in cui persistiamo».

Annotazione di Beethoven allo studio n. 4: «Senza rendere le lunghe puntate»

Il primo volume dello Studio per il Pianoforte di Cramer, dal quale Beethoven scelse i 21 studi per le sue personali annotazioni, fu pubblicato nel 1804, quindi nel pieno della validità delle norme sopra citate.

Beethoven avrebbe voluto scrivere un suo metodo di insegnamento, non essendo soddisfatto di quelli disponibili all’epoca. Tenuto conto dell’enorme e fondamentale contributo che il suo genio ha apportato alla storia della musica, ciò non può certamente destare stupore. Con ogni probabilità fu questa necessità una tra le ragioni che lo spinse a utilizzare 21 degli studi di Cramer. Nello studio n. 4, scritto in gran parte con gradi disgiunti, in tempo 2/2 e indicazione «Con moto», nel raccomandarsi di evitarlo, fa un chiaro e sorprendente riferimento al suonare ineguale:

«Qui bisogna tenere conto delle lunghe e delle brevi per tutto il brano, per esempio: la prima lunga (-), la seconda breve (◡), poi di nuovo la terza lunga e la quarta breve, come nella pronuncia di un piede trocaico. All’inizio la prima e la terza nota devono essere allungate intenzionalmente, in modo da far percepire bene la differenza tra lunghe e brevi, ma senza rendere le lunghe puntate. In un secondo momento, con l’incremento della velocità, gli ‘spigoli’ saranno smussati. La maggiore consapevolezza dell’allievo sarà di aiuto per ottenere il legato. Le mani devono essere tenute alquanto allargate».

Allo stesso tempo Beethoven appose al disegno melodico dello studio accenti inequivocabili () ogni due crome, i quali ribadiscono quel suonare con più forza la prima di due note, avallato circa 40 anni dopo ancora da Czerny, nonostante lo studio n. 4 non sia caratterizzato da coppie di note sotto legatura e presenti l’indicazione «sempre legato».  

Differenza di pronuncia tra trocheo e inégalité

Nelle annotazioni ai 21 studi di Cramer, Beethoven prescrisse soprattutto l’utilizzo del piede di trocheo. Emerge chiaramente che a causa della pratica dell’accentuazione, difficilmente nella prassi delle scuole nazionali del XVIII e XIX secolo la musica fu eseguita con perfetta uguaglianza dei valori scritti.

«Al contrario», per citare Couperin, la scuola francese fece dell’ineguaglianza un elemento di netta distinzione, che però non corrispose a una precisione di scrittura.

Deduzioni

Per queste ragioni, quindi, se Couperin lamentò l’inadeguatezza dell’esecuzione inégal da parte degli «stranieri» si può agevolmente dedurre:

  1. che la pronuncia dell’inégalité richiesta in Francia fu generalmente più spiccata di quella riservata all’accentuazione mutuata dalla prosodia (ineguaglianza prosodica). Questo con particolare riferimento al trocheo, fatte salve però le numerose e sottili sfumature e ‘ineguaglianze’ intrinseche ai piedi poetici. A conferma di questa differenziazione è particolarmente calzante l’osservazione di Quantz (che fu allievo di Jacques Hotteterre e si formò con lui alla scuola francese) sopra riportata: «abbenche le prime [di due note, n.d.r.] non debbano essere sostenute così lungo tempo, quanto essere lo debbono essendo appuntate»;
  2. tuttavia che l’inégalité poté riguardare ai primi dell’Ottocento anche i tempi rapidi e i gradi disgiunti e quindi probabilmente confluire, relativamente a questi casi, in una sorta di sovrapposizione con l’ineguaglianza prosodica del trocheo. Ciò conferma non solo implicitamente la sopravvivenza dell’inégalité alla francese, ma anche la possibilità della sua applicazione in un contesto non usuale per le regole ab origine;
  3. che non si può non rilevare, d’altronde, l’ambivalenza, o quantomeno la difficoltà di comprensione delle osservazioni di Beethoven allo studio n. 4. La problematica del tempo molto rapido investe in questo caso, infatti, anche la natura del trocheo, che potrebbe essere stata intesa soltanto nell’accezione di maggior peso sonoro delle note accentate. Beethoven ammonì infatti non solo di «non rendere le lunghe puntate», ma anche che «In un secondo momento, con l’incremento della velocità, gli ‘angoli acuti’ saranno smussati».

Conclusioni

La prassi esecutiva della seconda metà del diciottesimo secolo e della prima parte del diciannovesimo si caratterizzò per l’individuazione della corretta pronuncia. Pronuncia che si tradusse nella pratica in un peso specifico appropriato per ogni nota portatrice di accenti/quantità di suono rilevanti, sia in senso metrico che in quello metrico-poetico. Inoltre, tramite le annotazioni di Beethoven allo studio n. 4 di Cramer, si può agevolmente dedurre che la pratica del suonare inégal, ben lungi dall’essere sopraffatta, continuò a essere utilizzata nelle esecuzioni degli inizi dell’Ottocento. Questo avvenne anche al di fuori dei confini francesi e oltre le regole ab origine, potendo anche sovrapporsi, in particolari circostanze quali quelle esposte, alle peculiarità dell’ineguaglianza prosodica.

Giusy De Berardinis

LEGGI ANCHE: Le annotazioni di Beethoven ai 21 studi di J. B. Cramer in traduzione italiana

Le osservazioni di BEETHOVEN concernono diversi aspetti estremamente interessanti, in modo particolare quello sull’accentuazione secondo i piedi metrici quantitativi

Bibliografia:

FRANÇOIS COUPERIN, L’Art de toucher le Clavecin, Metodo per il Clavicembalo, versione italiana, presentazione e commento a cura di Gabriella Gentilini Verona, Edizioni Curci, Milano 1988.

CARL PHILIP EMANUEL BACH, Saggio di metodo per la tastiera, a cura di Gabriella Gentilini Verona (2 volumi), edizioni Curci, Milano 1973.

JOHANN JOACHIM QUANTZ, Trattato sul Flauto Traverso, a cura di Sergio Balestracci, Libreria Musicale Italiana, Siena ristampa 2019.

LEOPOLD MOZART, I fondamenti della scuola del violino, a cura di Luca Ripanti, Rugginenti editore, Milano 2013.

CARL CZERNY, Metodo completo teorico-pratico per Piano-Forte: dalla prima istruzione elementare fino al più alto grado d’insegnamento corredato di adatti esempj espressamente composti e diviso in tre parti op. 500, Giovanni Ricordi, Milano 1839.

CARL CZERNY, Il Maestro di Pianoforte / ossia / istruzione teorico pratica  / per / Pianoforte / Ridotta a nuovo e più facile metodo, Giudici e Strada, Torino s.d. (l’edizione Ricordi data 1837).

Immagine:

Busto di L. V. Beethoven


La Musica, ovvero la nostalgia del suono.

Giusy De Berardinis

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