La compostezza di Glinka, la profondità di Brahms e la visionarietà di Shostakovich
Sabato 11 novembre, nel salotto della Scala di Viola, si è tenuto un concerto per duo viola e pianoforte, con Rocco De Massis e Domenico Monaco.
Il programma è cominciato con una bella sonata del compositore russo Michail Ivanovič Glinka, una composizione assai equilibrata nella sua essenza tanto classica quanto romantica e perfetta per introdurre gli ascoltatori all’impasto particolare che il suono ombroso della viola imprime al duo con il pianoforte.
Il mio resoconto, tuttavia, non vuole assumere i connotati di una critica musicale: i concerti della Scala di Viola, infatti, hanno come fondamento una condivisione delle emozioni e dei messaggi che la musica può portare a ciascuno senza preclusione alcuna, culturale o altra che sia. Ed è proprio su questo punto che gli artisti ospiti hanno saputo condurci nella trama a più strati di un cammino singolare, che ad ogni nota preannunciava un’immersione progressiva e inesorabile nei temi tra i più importanti nella vita.
La sonata di Brahms, capolavoro immortale noto a tutti, è stata infatti il ponte per spiccare il salto verso le vette immateriali e a tratti enigmatiche dell’ultimo viaggio musicale e personale di Dimitri Shostakovich, poiché la Sonata per viola e pianoforte è il suo lavoro-testamento, terminato in extremis e tra molti problemi di salute, tre giorni prima della morte. Le implicazioni di una circostanza così particolare sono evidenti, ma il modus con il quale il compositore ne ha sublimato l’angoscia è stato sorprendente e degno dello spessore di un musicista geniale.
Ed è proprio per queste ragioni che Domenico e Rocco hanno scelto consapevolmente un programma impegnativo non soltanto dal punto di vista tecnico e musicale, ma anche da quello puramente simbolico. Fondamentale per gli ascoltatori è stata la condivisione delle loro personali osservazioni, prima dell’esecuzione, attraverso le parole di Domenico:
«Noi interpreti abbiamo creato un ‘appellativo’ per tale brano, al fine di poter più profondamente comunicarne i contenuti musicali ed extra-musicali: Sonata della Memoria.
Tre considerazioni ci hanno spinto ad immaginarlo.
In primis che l’autore compose negli ultimi anni della sua vita, fase a cui appartiene proprio la Sonata per Viola e pianoforte, molta musica in memoria della questione concentrazionaria. Ne è un esempio, con dedica ufficiale di Shostakovic stesso, la tredicesima sinfonia, composta nel 1969 e che mostra molte affinità nei materiali musicali con la Sonata op. 147.
In secondo luogo, la dedica dello stesso compositore del terzo movimento: «In Memoria del Grande Beethoven». Infatti si può ascoltare il famoso tema del primo movimento della sonata Al Chiaro di Luna sulle tre note ripetute, capaci di rievocare sin da subito il ‘Ricordo’ del grande Maestro di Bonn.
Terza ed ultima considerazione quella sulla ‘Memoria di Sé’, cioè di un artista, consapevole di stare per lasciare questa dimensione: infatti la Sonata op. 147, terminata pochi giorni prima della sua morte, tenta di fare memoria di se stesso, potendo ricordare però solo frammenti musicali che evocano stati d’animo, emozioni, pezzi di vita vissuta, sensazioni a volte, o quasi sempre, sconnessi tra loro, accostati in modo dissonante e disordinato; proprio forse come è disordinata e frammentaria la memoria di un uomo sulla soglia della sua fine.
Queste tre riflessioni, alla luce anche di una attento studio ed ascolto del materiale musicale, ed in particolare di come l’autore conclude il suo brano (e forse anche la sua stessa vita con esso), ci portano a capire meglio il valore della lucidità con cui Shostakovich, attraverso la scrittura musicale, osserva come da lontano se stesso, testimoniando i suoi stati mentali ed emozionali in quei momenti così particolari, e il livello di consapevolezza e di essenzialità raggiunto negli ultimi righi di musica, in cui si odono da lontano solo due note fondamentali: il do e il sol, la tonica e la dominante, la nota fondamentale ed il suo Sole».
Posso testimoniare che al rintocco allucinato di quella tonica e della sua dominante tutti noi eravamo immersi in un altrove ricco di risonanze, di calma e ricercata espansione. Angosciante sarà stato a tratti il percorso, ma la fine della sonata era ‘spaziante’, come quella di un’anima tornata alla sua essenza più pura e libera di diritto dalle corte mete spazio-temporali.
Un’esperienza di rara commozione, esaltata dall’intimità di un salotto ben risonante e condotta dalla maestria e dalla profondità di due musicisti straordinari e integri, ai quali va il mio più sentito ringraziamento.