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L’anima artistica della mia abitazione…

La Scala di Viola è stato sinora il nome del mio salotto musicale, l’anima artistica della mia abitazione. Un luogo pulsante, attraverso i quattro strumenti che ospita, e intimo quanto serve per ‘respirare’ insieme soprattutto la musica, ma anche altre espressioni artistiche, in nome di un principio cui non è semplice spesso accedere e che mi è stato sempre molto a cuore: la condivisione.

È stato naturale pensare che in un ambiente più affettuoso e familiare, senza nulla togliere alla qualità degli eventi proposti, avrei potuto sperimentare un modo diverso di proporre qualsiasi forma artistica realizzabile in un ambito ristretto. Fondai un gruppo Facebook di amici, colleghi ed appassionati cultori dell’arte e lo chiamai senza fatica La Scala di Viola, giocando con il doppio significato delle parole e con un ennesimo mio pseudonimo, a sottolineare la naturale disposizione a prospettive ed attitudini talvolta assai diverse. La scala esiste davvero, con la parete vermiglio-viola alle sue spalle fa da sfondo al mio pianoforte, ma il termine ‘Scala’, con la ‘s’ maiuscola, richiama anche inevitabilmente il teatro italiano per eccellenza. E il colore viola, trasformato in Viola, questa volta con la ‘v’ maiuscola, diventa un nome proprio auto-attribuito, che allude contemporaneamente al luogo e a chi lo abita.

Un decennio di eventi estemporanei e di talenti

Per un decennio La Scala di Viola ha ospitato moltissimi eventi, coinvolgendo giovani talenti, musicisti di chiara fama, unendo più arti, come la pittura, la musica e la letteratura. Tra i tanti artisti che si sono succeduti nel salotto ricordo Marco Giuliani, musicologo e possessore di una collezione di 1200 immagini (fotografie, cartoline d’epoca e documenti storici) relative a gruppi orchestrali femminili dilettanteschi, semi-professionali e professionali prima dell’avvento della radio, che ha messo a disposizione della Scala, illustrandone in una conferenza-mostra la storia e il fascino; il regista Dino Viani, con una proiezione in giardino di un suo film dedicato al ricordo toccante e amorevole della poetessa abruzzese Rita Ciprelli; il sassofonista Daniele Berdini, in un duo barocco-sperimentale con me al cembalo, la cui performance ha superato ogni ragionevole dubbio per la straordinaria ricerca timbrica e l’adesione alla prassi esecutiva storica; il pittore Leone Peretti, con le sue poetiche tele disseminate sia in casa che all’aperto, tra cespugli, fiori e alberi; il chitarrista Danilo Delli Carri e il pianista Francesco Sentuti, giovani e talentuosi virtuosi, rispettivamente della chitarra e del pianoforte.

Mentre le attività si succedevano rimanevo sempre più colpita da almeno due aspetti: l’emozione palpabile alla fine di ogni appuntamento, che ha sempre comportato la richiesta dell’uditorio di un tempo ad-agio per parlare con l’artista, come a trattenere le sensazioni e allo stesso tempo condividerle; e subito dopo il riproporsi inevitabile della domanda: quando sarà la prossima volta? Insomma, avevo intuito correttamente che la forma con cui offriamo un contenuto artistico può essere molto importante affinché questo possa trasformarsi in autentico coinvolgimento e non in qualcosa di troppo vicino al modus vivendi odierno, abituato al consumo vorace e superficiale.

Il ritmo regolare degli eventi de La Scala di Viola si è interrotto drammaticamente con l’avvento della pandemia: l’ultimo concerto, inconsapevolmente spericolato, si è tenuto infatti il 25 febbraio del 2020. La pausa forzosa indotta dal terribile dramma globale ha scandito anche per La Scala un tempo di riflessione, talvolta certamente di nostalgia, ma infine e soprattutto di cambiamento, per un nuovo e più ricco orientamento. La creatività non osserva la scansione temporale rigida, è una creatura delicata che si giova del silenzio e dell’osservazione e questo è stato il beneficio del lungo non fare, almeno di quello apparente, imposto dai protocolli della pandemia. Nel frattempo, infatti, tante cose hanno preso altre direzioni, sono sorte nuove necessità, si sono palesate impreviste idee e circostanze. Una di queste è stata la constatazione che alcuni dei miei allievi, ‘cresciuti’ da me sin da quando erano dei bimbi, sono oggi competenti musicisti con i quali mi sono trovata a condividere (la parola ritorna…) traiettorie, ricerche, traguardi raggiunti e anche sogni, così necessari all’immaginazione e alla progettazione. E allora, mi sono detta, oggi La Scala di Viola può essere qualcosa di più che un luogo di concerti ed eventi particolari e cioè un insieme di energie che camminano nella stessa direzione e perciò possono sostenersi, certo, ma anche corroborare, secondo le proprie attitudini, il lavoro nella musica, nell’arte e nella ricerca. Un cenacolo che mi onorerò di presiedere, ma con moltissima attenzione alla creatività che ognuno dei partecipanti metterà in gioco e, last but not least, nell’ascolto di quella percezione più intuitiva e sottile, che tante volte arriva improvvisamente a rivelare e svelare le nostre strade, lasciandoci basiti, noi per primi.

A ricercar estranio lido …

Con questi presupposti e con infinito interesse per ciò che sarà, La Scala di Viola si rinnova e salpa «a ricercar estranio lido», custodendo intatte la consapevolezza e l’arditezza di voler accedere a soluzioni vibranti soprattutto di luce propria.

Come sempre, un tale obiettivo necessita di molti contributi, di flussi generosi e liberi da recepire con prontezza, in uno spazio concepito da subito con l’intenzione di essere aperto. D’altra parte, una scala, per definizione, è fatta per collegare, per unire e spero fondamentalmente per salire, o meglio: per poter risalire dopo qualche inevitabile discesa, e partire e ripartire e qualche volta, magari, tentare di volare.