L’indipendenza espressiva tra le mani dei cembalisti e fortepianisti nella prassi esecutiva del XVIII secolo
I mezzi espressivi di un clavicembalista del XVIII secolo furono affatto differenti rispetto a quelli di un pianista odierno che si accinga a interpretare il repertorio di quel secolo. A grandi linee e dovendo necessariamente semplificare, si possono individuare almeno due motivazioni di carattere generale alla base di questa differenza:
- l’interpretazione fu lungamente soggetta all’Ars rhetorica, cioè alla declamazione espressiva secondo gli antichi piedi metrici, altrimenti detta accentuazione.
- Il meccanismo peculiare del clavicembalo, fondato da una parte su corde pizzicate per mezzo di un plettro e dall’altra su un’escursione dinamica affidata quasi esclusivamente ai registri, comportò una serie di accorgimenti nella prassi, atti al superamento di queste caratteristiche, in favore di maggior chiarezza delle intenzioni musicali di una composizione e di una più ampia possibilità espressiva.
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Il grande contributo dei Trattati della seconda metà del Settecento
Nella seconda metà del Settecento fiorirono e si affermarono definitivamente i trattati di teoria e prassi musicale (quelli di Carl Ph. E. Bach e Leopold Mozart tra i più celebri), ma spesso anche in precedenza i compositori non avevano mancato di corredare le loro opere con indicazioni utili per una corretta interpretazione.
Tra questi, la precisione di François Couperin nella prefazione al suo fondamentale L’Art de toucher le Clavecin costituisce una pietra miliare dell’interpretazione cembalistica del diciottesimo secolo, ben aldilà della matrice di scuola nazionale dei suoi insegnamenti. Se è vero, infatti, che gli stili europei furono caratterizzati da regole proprie delle diverse aree geografiche, si pensi al modo peculiare di scrivere gli abbellimenti e di eseguirli di ciascuna scuola-nazione, lo è altrettanto che l’approccio strumentale di base, comune ovviamente a tutti, si giovò della circolazione e della conoscenza delle differenze, spesso integrandole (un esempio ne sono composizioni di Bach quali il Concerto italiano e l’Ouverture in stile francese). Bisogna inoltre sempre tenere presente che gli strumentisti dell’epoca, pur osservando regole solide, godettero di una grande libertà espressiva, per mezzo di pratiche strumentali non indicate espressamente sulla partitura.
La chiarezza di intenti di François Couperin
Scrisse Couperin in prefazione a L’Art de toucher le Clavecin:
«I suoni del clavicembalo, essendo tutti invariabili non possono essere rafforzati né diminuiti; fino ad oggi sembrava quasi impossibile dare anima a questo strumento!! Ciononostante, tenterò di spiegare con quali mezzi […] io abbia potuto acquisire la fortuna di commuovere le persone di gusto […]. L’artificio che io propongo deve il suo effetto all’interruzione o alla sospensione dei suoni, entrambi introdotte a tempo e luogo e secondo i caratteri richiesti dalle melodie dei preludi e delle pièces. Questi due abbellimenti, opposti tra loro, lasciano l’orecchio indeciso, cosicché dove gli strumenti ad arco amplificano i suoni, il silenzio del clavicembalo, per un processo opposto, sembra produrre all’ascolto l’effetto desiderato. […] Per l’effetto dell’aspirazione, si deve staccare la nota su cui essa è posta, meno vivacemente nei pezzi carezzevoli e lenti che in quelli leggeri e rapidi. La sospensione si usa soltanto in pezzi lenti e che esprimono tenerezza: il silenzio che precede la nota sospesa deve essere regolato dal gusto dell’esecutore».
Il legame tra aspirazione, sospensione e Rubato Settecentesco
La concezione di base dei due «artifici» retorici spiegati da Couperin, è estremamente utile alla riflessione sul Rubato settecentesco. Quest’ultima pratica, infatti, liberando l’espressività della melodia, consiste nell’esaltazione plastica della stessa, svincolando la mano destra dall’inesorabilità metrica, affidata invece alla mano sinistra. Se la sospensione, cioè un ritardo del suono, è di immediata comprensione per il Rubato, l’aspirazione, intesa non soltanto come accorciamento di una nota, ma in senso più lato anche come sua anticipazione, può ugualmente concorrere alla buona riuscita di un’interpretazione centrata sull’espressività.
In una lettera a suo padre del 24 ottobre 1777, Mozart scrisse:
«Ciò che più li stupisce è che io resti sempre esattamente in tempo. Essi non riescono a capire che, nel tempo rubato di un Adagio, la mia mano sinistra rimanga del tutto indipendente».
Anche Carl Philipp Emanuel Bach si espresse sul Rubato, entrando più in dettaglio:
«L’esecuzione dovrà essere tale da dare l’impressione che una mano suoni aritmicamente e l’altra perfettamente in tempo. Nel Rubato le voci cadono ben di rado contemporaneamente in battere. […] I periodi più adatti a questa esecuzione sono quelli lenti, carezzevoli o tristi e le dissonanze più delle consonanze». E aggiunse:
«Allorché l’esecuzione è tale che una delle mani sembra suonare fuori tempo mentre l’altra lo mantiene strettamente, si può dire allora che l’esecutore fa tutto ciò che è lecito aspettarsi da lui».
Conclusioni
Se la sospensione codificata da Couperin per una singola nota esaltava l’espressività della stessa ritardando tramite un «silenzio» la sua esecuzione, il Rubato settecentesco poteva invece applicare questo principio a tutte le note della melodia di un tempo lento, declamandole con totale libertà, secondo la sensibilità dell’interprete. Richiamando inoltre le importanti succitate parole di C. Ph. E. Bach «che una mano suoni aritmicamente», è evidente che la sfasatura tra le mani dell’interprete, caratteristica del Rubato Settecentesco, fu possibile sia per anticipazione che per posticipazione della mano destra sulla sinistra.
Tale meraviglioso espediente caratterizzò non soltanto la prassi esecutiva dei pezzi lenti e moderati del XVIII secolo, ma anche quella di molto successiva, cioè fino ai primi decenni del Novecento. Ne sia testimonianza sorprendente e toccante una significativa parte dell’esecuzione di Béla Bartók del Notturno di Chopin op. 27 n. 1, ascoltabile al link seguente: (76) Béla Bartók plays Chopin Nocturne opus 27 no. 1 – YouTube
Bibliografia:
CARL PHILIPP EMANUEL BACH, Saggio di metodo per la tastiera, a cura di Gabriella Gentilini Verona (2 volumi), edizioni Curci, Milano 1973.
FRANÇOIS COUPERIN, L’Art de toucher le Clavecin, Metodo per il Clavicembalo, versione italiana, presentazione e commento a cura di Gabriella Gentilini Verona, Edizioni Curci, Milano 1988.
MURARA MARCO (a cura di), Tutte le lettere di Mozart. L’epistolario completo della famiglia Mozart – 1755-1791, Tomo 1, Zecchini editore, Varese 2020.
Immagini:
- Basilica tardo barocca di San Alexander e St. Theodor, Allgaeu (Baviera, Germania): affreschi del soffitto ad opera dei fratelli Zeiller, 1760 ca.
- Lettera di Mozart del 24 ottobre 1777