Vai al contenuto
Home » L’Accentuazione nella musica del Sette-Ottocento in breve: cos’è, da cosa deriva, applicazioni

L’Accentuazione nella musica del Sette-Ottocento in breve: cos’è, da cosa deriva, applicazioni

Accentuazione in musica (Giusy De Berardinis) giambattista-tiepolo-ifigenia-valmarana

I musicisti si servirono dei piedi metrici quantitativi caratteristici della poesia per l’accentuazione musicale

Il concetto di accentuazione è di non immediata comprensione per il musicista che non abbia indagato il modo di intenderlo fino alla metà dell’Ottocento circa. Possiamo dire che il concetto di metro si è generalmente oggi assestato sul tempo di impianto di un brano musicale. Il metro ha infatti le sue regole certe di disposizioni forti e deboli (tesi e arsi anticamente, battere e levare in seguito). L’accentuazione invece, nella descrizione dei trattatisti della seconda metà del XVIII secolo, riguardò soprattutto la quantità, intesa nell’accezione di lunghezza dei suoni. Il discorso sull’accentuazione in musica riguardò anche un altro aspetto fondamentale, ovvero la prassi esecutiva. L’accento divenne importante per la possibilità, attraverso la varietà di inflessioni e sfumature, di determinare l’andamento plastico di una frase.

L’Ars retorica costituì la radice dell’accentuazione

Nell’antichità l’’Ars rhetorica (ῥητορική τέχνη, rhētorikḗ téchnē in greco) fu considerata come la capacità di persuadere attraverso le parole, donando particolare rilievo a quelle più significative, per mezzo di lievi e meno lievi curvature della pronuncia. La musica mutuò da questa procedura la stessa prassi. Vennero considerate necessarie e ineludibili quelle particolari variazioni nella ‘quantità’ del suono che potevano contribuire alla persuasione, al «vero sentimento di una composizione».

I trattatisti della seconda metà del Settecento e l’accentuazione

Scrisse infatti con lapidaria chiarezza Daniel Gottobl Türk in Klavierschule oder Anweisung zum Klavierspielen für Lehrer und Lernende mit kritischen Anmerkungen, (1789):

«Chi vuol leggere una poesia e la deve far comprendere a chi l’ascolta, deve porre un’intensità particolare su certe parole o su certe sillabe. Lo stesso deve fare il pianista».

Più nel dettaglio Carl Philip Emanuel Bach, tra i trattatisti più importanti della seconda metà del Settecento, nel suo Versuch über die wahre Art das Clavier zu spielen, (1753 e 1763), specifica:

«Gli elementi dell’interpretazione sono la forza e la delicatezza dei suoni, l’accento, lo scatto, il legato e lo staccato, il vibrato, l’arpeggiato, le note tenute, il rallentando e accelerando. Chi non impiega questi elementi o li usa a sproposito, interpreta male».

E ancora:

«Ma in cosa consiste la vera interpretazione? Nell’abilità di far percepire all’orecchio, cantando o suonando, il vero sentimento di una composizione musicale. Modificando l’interpretazione, un passaggio può essere reso in modo così diverso da cambiare significato e diventare irriconoscibile».

Il «vero sentimento di una composizione»: la varietà di espressione pervase i trattati di fine Settecento

Sull’importanza del «vero sentimento di una composizione» tutti i trattatisti della seconda metà del Settecento posero particolare riguardo, individuando in questo aspetto psicologico e comunicativo un fulcro ineludibile.

Johann Joachim Quantz, ad esempio, scrisse in Versuch einer Anweisung die Flöte traversiere zu spielen, (1752):

«L’oratore e il musicista devono avere lo stesso scopo: impadronirsi del cuore di chi ascolta, suscitare loro passioni e trasportarli da un sentimento all’altro».

Anche Leopold Mozart scrisse nel Versuch einer gründlichen Violinschule (Augsburg, 1756) che non si può determinare esattamente la durata di ogni nota se non si è compreso il carattere del brano, il suo «affetto», come la cultura musicale seicentesca definì splendidamente l’inclinazione espressiva di una frase o di una composizione e il suo effetto sull’animo umano.

I più importanti piedi metrici quantitativi

Tra i piedi poetici più importanti citiamo:

  • il trocheo: successione di sillaba lunga e sillaba breve (– ◡)
  • il giambo: successione di sillaba breve e sillaba lunga (◡ −)
  • lo spondeo: successione di due sillabe lunghe (– –)
  • il dattilo: successione di una sillaba lunga e due brevi ( –́ ◡◡ )
  • l’anapesto: successione di due sillabe brevi e una lunga ( ◡◡ -́ )
  • l’anfibraco, successione di una sillaba breve, una lunga e una breve ( ◡ – ◡ )
  • il tribraco: successione di tre sillabe brevi ( ◡◡◡ )

In che modo l’accentuazione può caratterizzare un’esecuzione?

Le note in coppia

Il concetto di eguaglianza tra valori musicali identici, che appartiene in linea di massima agli intendimenti dei musicisti contemporanei, fu al contrario alquanto plastico in quelli del Sei-Settecento.

Se gli ammonimenti a non alterare la scansione di base della battuta e, ancora più precisamente a far comprendere con estrema chiarezza le note del tempo in battere (tesi) rispetto a quelle del tempo in levare (arsi), sono una costante tra le raccomandazioni dei trattatisti settecenteschi e non solo (si vedano infatti le raccomandazioni di Beethoven riguardo 21 studi di Cramer tratti da Studio per il Pianoforte, primo libro), il rapporto interno tra una coppia di note di egual valore, prendendo questo caso come un esempio tra i più usuali e semplici, assunse una pronuncia tale da rendere riconoscibile il diverso peso specifico di ognuna delle due componenti.

LEGGI ANCHE: La vita di J. B Cramer

Johann Baptist Cramer nacque a Mannheim, in Germania, il 24 febbraio 1771 da una famiglia di musicisti…

Il procedimento è particolarmente simile a ciò che avviene nella lingua italiana, nella quale parole come ‘mare’, ‘pane’, ‘sale’, si pronunciano con un allungamento certamente lieve sulla sillaba tonica, ma abbastanza definito da non poter confondere, ad esempio, le parole ‘papa’  e ‘papà’.

La pratica di differenziare la pronuncia di esecuzione delle note in molteplici modi, di cui il più caratteristico e immediato fu secondo il piede di trocheo, persistette ancora e peraltro per diversi decenni dell’Ottocento. Basti pensare ai casi spiegati in questo senso e con accuratezza da Friedrich Kalkbrenner e Carl Czerny nei loro metodi, rispettivamente del 1831 e 1839.

Bisogna aggiungere che il ricorso alla inégalité, cioè ad una diversificazione di lunghezze tra note di grado congiunto e stesso valore, codificata in Francia, ma presente sotto svariate forme anche in altre scuole nazionali del Sei-Settecento, aveva già posto il problema della varietà dell’interpretazione in merito alla lunghezza dei suoni e, a livello meramente semiotico, del conflitto tra il segno e il portato culturale ed espressivo che quel segno pretendeva nel momento dell’esecuzione.

Altri casi di accentuazione in musica che caratterizzano un’esecuzione

Trattamenti particolari di enfasi e sottolineature, e quindi ancora di allungamenti quantitativi, spettarono anche a strutture diverse o più ampie che una coppia di note, ovvero ai suoni indicativi di un significativo stato tensivo all’interno di una frase, quali, tra gli altri, dissonanze, sincopi e note all’apice espressivo o di altezza.

È doveroso inoltre ricordare che i concetti di tesi e arsi, in una logica accentuativa superiore, inclusero anche intere battute, che assunsero la valenza di piede forte o debole, determinando a loro volta una scansione fraseologica di più ampia concezione e ben oltre la mera articolazione di due o più suoni.

Conclusioni

Tutto ciò portò la prassi esecutiva a una plasticità eccezionale. Inoltre orientò una non identificazione pedissequa tra i rigidi accenti metrici e quelli fluttuanti del discorso musicale.

In altre parole, la musica non fu dispoticamente assoggettata all’andamento inesorabile del tempo di base, ma assecondata ai suoi «affetti», secondo una pronuncia duttile e ricca di sfumature. Perciò la musica fu ancora più capace di «trasportare da un sentimento all’altro», in un gioco continuo di sapienti chiaroscuri sonori, condotti appunto secondo il supporto della metrica poetica.

Giusy De Berardinis

LEGGI ANCHE: I 21 studi di Johann Baptist Cramer accentuati da Beethoven

Le annotazioni di Beethoven sui 21 studi di Cramer rivelano un approccio interpretativo inedito

Bibliografia:

Daniel Gottobl Türk, Klavierschule oder Anweisung zum Klavierspielen für Lehrer und Lernende mit kritischen Anmerkungen, Leipzig und Halle 1789.

Carl Philip Emanuel Bach, Saggio di metodo per la tastiera, a cura di Gabriella Gentilini Verona (2 volumi), edizioni Curci, Milano 1973.

Leopold Mozart, I fondamenti della scuola del violino, a cura di Luca Ripanti, Rugginenti editore, Milano 2013.

Johann Joachim Quantz, Saggio di metodo per suonare il flauto, Rugginenti editore, Milano 2004.

Friedrich Kalkbrenner, Méthode pour apprendre le Pianoforte à l’aide du Guide-mains op. 108, Parigi 1831.

Carl Czerny, Metodo completo teorico-pratico per piano-forte: dalla prima istruzione elementare fino al più alto grado d’insegnamento corredato di adatti esempj espressamente composti e diviso in tre parti op. 500, Giovanni Ricordi, Milano 1840.

Emilia Fadini ­- Maria Antonietta Cancellaro: L’accentuazione in musica. Metrica classica e norme sette-ottocentesche, Rugginenti editore, Milano 2009.

Immagine:

Giambattista Tiepolo, Il sacrificio d’Ifigenia (1757), Villa Valmarana “ai Nani”, Vincenza.

5 commenti su “L’Accentuazione nella musica del Sette-Ottocento in breve: cos’è, da cosa deriva, applicazioni”

  1. Pingback: I 21 studi di Johann Baptist Cramer accentuati da Beethoven

  2. Pingback: La traduzione italiana delle annotazioni di Beethoven negli studi di Cramer

  3. Pingback: Ricordo di Emilia Fadini

  4. Pingback: La mia Emilia Fadini a un anno dalla scomparsa

  5. Pingback: Traduzione dei passi salienti a 'Le Piano' di Marguerite Long

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *