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Marguerite Long: una vita per il Pianoforte

Sintesi della biografia e degli insegnamenti di base della grande pianista e didatta francese

Marguerite Long, pianista, Giusy de Berardinis

Marguerite Long è stata un’eccellente pianista e didatta francese. Nacque a Nîmes il 13 novembre 1874 in una famiglia che incoraggiò l’amore per la musica. La sorella maggiore Claire, brillante pianista e docente a soli diciotto anni presso il conservatorio della sua città, rappresentò inoltre un esempio importante e un ulteriore stimolo. La piccola Marguerite, infatti, frequentò proprio la sua classe, mettendo in luce rapidamente il suo talento ed esibendosi poco dopo, a undici anni, nel concerto in re minore K 466 di Mozart.

Nel 1888 Marguerite proseguì i suoi studi al Conservatorio di musica di Parigi, sotto la guida del brillante pianista Henri Fissot. Progredì a grandi passi: nel 1891 vinse infatti il Premier Prix indetto dal conservatorio, confermando le sue straordinarie doti musicali e solistiche. Dopo la morte del maestro, il 29 gennaio 1896, continuò il suo percorso privatamente con Antonin Marmontel, figlio di Antoine Marmontel, che a suo tempo era stato docente e mentore di Fissot.

La docenza presso il Conservatorio di musica di Parigi e il concertismo

Nel 1906 fu nominata da Gabriel Fauré, allora direttore dell’istituzione, docente di Pianoforte presso il Conservatorio di Parigi. Long svolse il suo ruolo fino al 1940, prima donna titolare a tutti gli effetti della cattedra dal 1920.

Come concertista affrontò un vasto e importante repertorio, che consolidò la sua fama e del quale un eccezionale riscontro ebbero il Concerto in fa minore di Chopin e successivamente, nel 1932, il Concerto in sol di Ravel, di cui fu dedicataria e che eseguì in numerose e prestigiose sedi europee. Nello stesso anno intraprese una tournée in Brasile che la consacrò anche oltreoceano.  

Marguerite Long fu l’ambasciatrice della musica francese

Marguerite non fu soltanto un’eccellente pianista, ma anche amica personale e musa di importanti musicisti, come Gabriel Fauré, Claude Debussy, Maurice Ravel e Darius Malhaud. Nel 1834 eseguì di quest’ultimo, essendone ancora una volta la dedicataria, il primo Concerto per pianoforte. Molti compositori, tra i quali Jacques Ibert e Francis Poulenc, continuarono a dedicarle opere pianistiche, essendo Marguerite divenuta un  punto di riferimento non soltanto nel concertismo e nella didattica, ma anche nell’esecuzione delle opere francesi.

Degna di rilievo fu anche la stretta collaborazione con Claude Debussy. Questa collaborazione portò la pianista a un intenso studio di approfondimento della poetica del compositore, fino a esserne considerata l’interprete più attendibile.

Gli ultimi prestigiosi anni

Insignita di numerosi premi e riconoscimenti durante la sua lunga vita, tra i quali La grand-croix de l’ordre national du Mérite, ancora una volta prima donna a esserne destinataria, Marguerite Long tornò a suonare dopo una lunga e consapevole pausa nel 1956: il governo francese la invitò infatti a esibirsi in un concerto celebrativo della sua vita artistica. Marguerite, ottantunenne, suonò la Ballata op. 19 di Fauré con l’Orchestre National de France diretta da Charles Munch. In suo onore  fu eseguita per la prima volta una suite orchestrale, composta da otto compositori francesi e intitolata Variations sur le nom de Marguerite Long.

Membro di prestigiose giurie di premi pianistici internazionali quali il Concorso ‘Frydryck Chopin’ di Varsavia (edizioni del 1932, 1949 e 1955) e il ‘Queen Elisabeth’ a Bruxelles (1952), nel 1943 fondò con il violinista Jacques Thibaud il ‘Concorso internazionale Marguerite Long-Jacques Thibaud’. Nel 1966 fu invitata anche a Mosca per i lavori del Concorso Čajkovskij, ma la morte, sopravvenuta il 13 febbraio dello stesso anno, le impedì di potervi partecipare.

Le basi della tecnica del pianismo francese secondo Marguerite Long: le cinque dita

Marguerite Long ha svolto un’intensa attività didattica, formando alcune generazioni di pianisti, tra i quali astri del concertismo internazionale come Jacques Février, Samson François, Marcelle Meyer, Zvart Sarkissian, Philippe Entremont, Georges Savaria, Aldo Ciccolini, Marielle Labèque.

Long ha condensato i principi tecnici della sua didattica nelle pubblicazioni Le Piano (1959) e La petite méthode de piano (1963).

Nella prima parte della prefazione al metodo Le Piano, che ho tradotto in italiano, Long enumera i cardini del pianismo francese, caratterizzato, scrive, da «una segreta comunanza di tecnica e stile, fatta di chiarezza, di flessibilità, di misura, di eleganza e di tatto. […] Il suono francese è lucido, preciso, sciolto». Descrive immediatamente e con pochi tratti, cioè, il famoso jeu perlé  («Il suono perlato è suonare le note come si infilano in un collier di perle, separarle senza disperderle, articolarle con sottigliezza», in Aux origines du piano français: le jeu perlé – YouTube).

Leggi anche: Jeu perlé: il suono perlato secondo la grande pianista Marguerite Long

Alla base di questo particolare intendimento, Long pone «l’educazione statica» delle cinque dita: «per ottenere questo il pianista dovrà alternare giudiziosamente gli esercizi cosiddetti delle cinque dita e quelli con le note tenute. Le mani naturalmente sciolte, ma manchevoli in stabilità o fermezza, insisteranno con profitto sugli esercizi delle note tenute, che ‘installano’ la mano. Inoltre le note tenute abituano ciascun dito a passare alternativamente da uno sforzo leggero di pressione continua e controllata a uno sforzo di attacco. Questa pratica sottomette le dita a una disciplina collettiva che procura l’uguaglianza di meccanismo». Ma, «lavorando per l’articolazione, non bisogna mai trascurare la qualità del tocco. La mano […] non è soltanto un meraviglioso utensile meccanico: è un’antenna vibrante le cui possibilità fluidiche non sono ancora davvero conosciute. Non è picchiando sulla tastiera che la mano crea una sonorità potente. La mano deve estrarre il suono dalla punta delle dita».

Lavorare secondo la natura di ogni dito

Tuttavia Long precisa che si tratta di conferire a ogni dito non la stessa forza, ma piuttosto di liberare quella che gli è fisiologica. La sua visione valorizza infatti la priorità dell’indice, dito per così dire ‘pilota’ e le importantissime differenze morfologiche del pollice e del mignolo. Pollice, indice e mignolo sono gli «artigli» della mano. Facendo lavorare e fortificando queste dita non soltanto la mano acquisterà la giusta flessibilità, ma presunte difficoltà, come il passaggio del pollice, non sussisteranno:

«Non bisogna occuparsi del passaggio del pollice. In effetti, se si è sicuri dell’indipendenza, dell’uguaglianza e della stabilità delle cinque dita (e quindi anche del pollice), esso passerà senza problemi sotto una mano abituata a una presa solida della tastiera e che, definitivamente in equilibrio, non ha più nulla da temere da un movimento di traslazione».

‘Perler’ le note e ‘parlarle’: l’accentuazione nel Novecento

Molto interessante è poi il riferimento all’accentuazione, pratica che ha caratterizzato molte fasi della storia musicale ed esplicitamente quanto indissolubilmente legata al pianismo francese. Long fornisce una testimonianza vibrante e autorevole della sua persistenza per buona parte del Novecento (Le Piano fu pubblicato nel 1959):

«Le dita dovranno pronunciare le note come le labbra pronunciano le sillabe. Questa preoccupazione, non tanto di ‘perlare’ il suono, ma di ‘parlare’ tutte le note come un oratore o un cantante è una delle caratteristiche della tecnica francese del pianoforte che ricerca istintivamente la chiarezza di elocuzione. Un tocco ben articolato senza secchezza è per un pianista un merito altrettanto prezioso che la dizione per un attore».

«Il pianista deve avere la mano del suo cuore»

Dopo aver richiamato l’importanza dello studio consapevole degli accordi, dove l’indipendenza delle dita gioca un ruolo basilare, e quella di scale, arpeggi e ottave, ma anche dopo aver ammonito sull’uso indiscriminato delle varianti ritmiche, Long conclude invitando alla trascendenza della tecnica stessa. Sono le emozioni e lo spirito di una composizione gli elementi sui quali concentrare a un livello superiore l’attenzione. La tecnica è fondamentale, ma inutile se fine a se stessa: «Il pianista deve avere la mano del suo cuore».

Giusy De Berardinis

Bibliografia:

  • CECILIA DUNOYER, Marguerite Long: A Life in French Music, 1874–1966, Bloomington Indiana Music Press 1993.
  • MARGUERITE LONG, Le Piano, Editions Salabert, Paris 1959.

Approfondisci: Traduzione dei passi salienti a ‘Le Piano’ di Marguerite Long

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