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Alcune considerazioni sul ‘Jeu perlé’ secondo ‘Le Piano’ di Marguerite Long

Le connessioni tra la tecnica ‘antica’ e le indicazioni di base di Marguerite Long

Jeu perlé

Marguerite Long (Nîmes, 13 novembre 1874 – Parigi, 13 febbraio 1966) è stata una grande pianista e didatta francese. Ha dedicato due opere alla didattica del pianoforte: Le Piano (1959) e La petite méthode de piano (1963). Mentre la seconda, molto più agile, è una guida pratica, destinata alle prime note sul pianoforte e corredata di brani ad hoc, la prima è il sunto dei suoi principi tecnici fondamentali. Questi sono basati sul grande caposaldo dell’indipendenza e della forza delle dita, ma con un distinguo importante: ogni dito svilupperà entrambe le qualità secondo le sue caratteristiche fisiologiche e non rincorrendo un ideale dannoso e innaturale di parità assoluta con le altre dita. Gli esercizi sulle cinque dita e quelli con le note tenute sono il mezzo più appropriato per giungere a questo scopo, sorvegliando però sempre sulla qualità del suono, che non deve essere mai secco né sgradevole.

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Le mani e le dita: le colonne della tecnica secondo Marguerite Long

Le mani e le dita sono organi di senso e al tempo stesso le colonne della tecnica pianistica:

«Senza dubbio non si tratta di contestare il ruolo del polso, del braccio, di tutto il corpo nel gesto pianistico. Altrettanto non bisogna pensare che per essere un grande pianista basti avere dita d’acciaio, ma come per essere un corridore bisogna avere gambe flessibili e caviglie solide e per fare il danzatore bisogna prima lavorare alla sbarra la morbidezza e la muscolatura delle gambe, ugualmente al pianoforte bisogna dapprima lavorare con l’articolazione delle dita e aggiungo: lavorando per l’articolazione non bisogna mai trascurare la qualità del tocco. La mano, l’ho già detto, […] non è soltanto un meraviglioso utensile meccanico: è un’antenna vibrante le cui possibilità fluidiche non sono ancora davvero conosciute. Non è picchiando sulla tastiera che la mano crea una sonorità potente. La mano deve estrarre il suono dalla punta delle dita». E oltre, nella parte riservata alla pratica degli esercizi sulle cinque dita e le note tenute de Le Piano, aggiunge: «[questi esercizi] richiedono una neutralità del braccio e del polso», precisando ulteriormente in una nota: «è dalla mano che deve venire l’articolazione ed è la sua muscolatura che crea la libertà del dito».

La radice del jeu perlé è nei principi della tecnica ‘antica’

Il focus sulle sole dita e sulla loro aderenza alla tastiera è un elemento portante della tecnica ‘antica’. François Couperin, per esempio, scrisse ne L’Art de toucher le Clavecin:

«La dolcezza del tocco dipende, inoltre, dal fatto di tenere le dita il più vicino possibile ai tasti. Si crede comunemente, a prescindere dall’esperienza, che una mano, cadendo dall’alto, dia un colpo più secco che toccando il tasto da vicino e che il plettro tragga dalla corda un suono più forte».

Più tardi anche Friedrich Kalkbrenner fu un irriducibile baluardo della destrezza digitale. Nel 1830 brevettò il guidamani, un attrezzo sul quale poggiare l’avambraccio per potenziare la forza delle sole dita. Questa impostazione aborriva rigidamente ogni movimento diverso dall’orizzontalità, come, per esempio, la rotazione della mano.

Ugualmente, a proposito di una postura allo strumento il più possibile stabile e ferma, la scuola francese fece un caposaldo della compostezza assoluta. La compostezza fu ricercata sia dai clavicembalisti che da Kalkbrenner, ritenendo i movimenti superflui di braccia e corpo dannosi proprio alla caratterizzazione di quel suono che la qualificava. 

L’accentuazione praticata e raccomandata nel 1959

Long, infine, richiama espressamente anche l’accentuazione, con principi  perfettamente sovrapponibili a quelli che la definirono nei trattati della seconda metà del Settecento:

«Le dita dovranno pronunciare le note come le labbra pronunciano le sillabe. Questa preoccupazione, non tanto di ‘perlare’ il suono, ma di ‘parlare’ tutte le note come un oratore o un cantante è una delle caratteristiche della tecnica francese del pianoforte che ricerca istintivamente la chiarezza di elocuzione. Un tocco ben articolato senza secchezza è per un pianista un merito altrettanto prezioso che la dizione per un attore».

«La mano deve estrarre il suono dalla punta delle dita»

Marguerite Long specifica con grande chiarezza una rilevante componente nella messa in atto del jeu perlé. L’importanza della mano, infatti, ‘scorre’ ininterrottamente per tutta la sua prefazione a Le Piano. Gli esercizi iniziali sulle cinque dita sono concepiti effettivamente senza alcun altro supporto che non l’azione delle dita stesse. Tuttavia la produzione del tocco secondo Long risiede nella sagacia della frase: «La mano deve estrarre il suono dalla punta delle dita». A questo proposito, appare particolarmente centrata la definizione del jeu perlé nella tesi di Chiara Macrì, Il tocco pianistico: premesse storiche e sviluppi scientifici:

«[Il jeu perlè consiste nel] bilanciamento del carico della mano leggera sulle punte ferme, con arresto preciso della vibrazione sonora, e caduta breve di ogni dito sul tasto». Il «bilanciamento del carico della mano leggera» implica perciò una partecipazione ‘dosata’ della mano e del suo oculato carico fino alle punte delle dita.

Long precisa e amplia ulteriormente il concetto quando parla dell’importanza dello studio degli accordi, per i quali integra l’intervento dell’avambraccio:

«Non si insisterà mai abbastanza sulla pratica ripetuta dell’accordo. In effetti è l’accordo che costituisce la vera presa di possesso della tastiera. In questo frangente l’azione dell’avambraccio si combina con quello delle dita che si trovano a ‘mordere’ i tasti».

E sulle note doppie:

«la flessibilità del polso è la condizione essenziale per l’esecuzione delle note doppie, non bisogna cercare l’immobilità rigorosa della mano, ma evitare l’elevazione costante del polso».

«Mordere i tasti»

Il ‘mordere’ i tasti corrisponde all’attivazione della porzione finale del dito, dove risiede la terza falange. Questa azione è sostenuta e indirizzata dal peso della mano e mirata a delineare con precisione il suono. (Emilia Fadini sottolineò più volte l’utilità della «prensilità» della punta delle dita, affermando di averla appresa proprio dalla scuola di Marguerite Long).

Non si deve dimenticare, infatti, che oltre a tenere orizzontale l’andamento della mano, il guidamani ebbe come scopo di far risiedere il punto d’appoggio nel fondo del tasto, fondo ‘catturato’ proprio dall’estremità del dito.

Tuttavia, trasposta questa pratica sul pianoforte attuale, i cui tasti sono più alti e pesanti che un tempo, il fondo non può più essere sempre controllato da un‘azione digitale.

E infatti Long precisa che:

«nello staccato, le note ‘piqués’, i salti, gli esercizi di ottave, il braccio e il polso considerati fino a prima come agenti di sospensione e spostamento della mano e a cui si è soprattutto richiesto di avere la più grande flessibilità, giocano un ruolo più attivo, espressivo e anche preponderante nell’affondo del tasto e nella creazione del suono».

Conclusioni

Il jeu perlé applicato nel Novecento dalla scuola francese, con particolare riferimento a quella di Marguerite Long, ebbe le sue fondamenta nella tecnica antica. La grande pianista integrò nella sua didattica una partecipazione importante del peso della mano, conferendole un ruolo centrale nella produzione e nella qualità del suono. Allo stesso tempo integrò alle caratteristiche di precisione e chiarezza del timbro francese anche l’intervento del polso e del braccio. Questi due elementi infatti erano assolutamente necessari sia all’assetto allora raggiunto dal pianoforte che allo sviluppo della letteratura otto-novecentesca.

Long mantenne inoltre inalterati due aspetti fortemente legati alla tradizione:

  • l’attenzione per una postura generale il più possibile esente da movimenti superflui delle braccia e del corpo
  • la pratica dell’accentuazione.

Giusy De Berardinis


Approfondisci: Traduzione dei passi salienti a ‘Le Piano’ di Marguerite Long

Bibliografia:

  • FRANÇOIS COUPERIN, L’Art de toucher le Clavecin, Metodo per il Clavicembalo, versione italiana, presentazione e commento a cura di Gabriella Gentilini Verona, Edizioni Curci, Milano 1988.
  • MARGUERITE LONG, Le Piano, Editions Salabert, Paris 1959.
  • CHIARA MACRÌ, Il tocco pianistico: premesse storiche e sviluppi storici, Tesi di dottorato in musicologia e storia della musica, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna 2008.

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