Ignaz Moscheles: quell’uso smodato di tabacco sfigurò le sue dita e ostacolò il funzionamento dei tasti del pianoforte
Harold C. Schonberg (29 Novembre 1915 – 26 luglio 2003) fu un giornalista e critico musicale statunitense. Compì i suoi studi presso il Brooklyn College e all’Università di New York. Lavorò nello staff direzionale del New York Times per vent’anni e dal 1960 ne diresse il settore della critica musicale. Nel 1971 gli fu attribuito il primo premio assegnato a un critico, il Pulitzer Prize for Criticism. Scrisse diversi libri dedicati alla musica, tra i quali The Great Pianists from Mozart to the present (1956), da cui ho tratto la sezione dedicata a Johann Baptist Cramer. Nonostante il testo non sia ineccepibile sotto il profilo logico-strutturale e non aggiunga nulla di nuovo alle universalmente assai apprezzate doti musicali del pianista e compositore, riporta però, attraverso la testimonianza di Ignaz Moscheles, due aspetti di Cramer probabilmente meno noti: l’uso ormai desueto di molti «banali» abbellimenti e l’abuso di tabacco da fiuto.
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Cramer in The Great Pianists from Mozart to the present
«Uno dei più grandi rivali di Dussek, dopo il ritiro di Clementi, fu il suo allievo John Baptist Cramer. Sebbene nato in Germania, ‘Glorious John’, come veniva chiamato dagli adoranti inglesi, era stato portato in Inghilterra dai suoi genitori quando aveva un anno. È singolare come Londra, fino al 1830 circa, attrasse quasi tutti i maggiori pianisti europei: Clementi, Cramer, Hummel, Dussek, Field, Steibelt, Wolffl, Kalkbrenner. Tutti vi lavorarono di tanto in tanto, nel corso di molti anni, spesso simultaneamente.
Cramer si rivelò essere il più classico dei classicisti. Fu un prodigio, come tutti i grandi pianisti, debuttò a dieci anni, studiò per due anni sotto la guida di Clementi e cominciò poco dopo a viaggiare in Europa. La sua ottima reputazione fu enorme e accresciuta dal fatto che durante la sua vita non fece molti concerti, soprattutto in Europa. Ma le poche volte che li fece, lasciò dietro di lui una scia di ammiratori stupefatti. Se Dussek catturava con il fascino e l’incipiente romanticismo, Cramer non abbandonò mai il suo classicismo.
La purezza e l’accuratezza del suo suonare e la sua chiara e diretta intelligenza musicale furono gli elementi che colpivano. Ries, un allievo di Beethoven, citò il suo maestro nel parlare di Cramer come il solo pianista del suo tempo. «Il resto non conta nulla». Parole davvero forti dall’esigente Beethoven.
Cramer e Beethoven si incontrarono una volta per una sfida e il risultato fu che mentre Beethoven aveva più potenza ed energia, ed era assolutamente il migliore improvvisatore, il modo di suonare di Cramer era più corretto.
Cramer dovette essere stato un pianista eccezionalmente abile nella sua giovinezza.
Coltivò l’uguaglianza delle mani, un tocco espressivo e un super legato. La tecnica significava poco per lui, benché ne avesse più che abbastanza per affrontare i suoi compositori preferiti, Bach e Mozart. Cramer fu uno dei primi pianisti a inserire nei suoi programmi con un buon grado di consistenza musica non sua. Fu certamente lui stesso un compositore prolifico e i suoi studi sono ancora parte dell’apprendimento dei giovani pianisti. La fluidità delle sue esecuzioni stupiva i suoi colleghi e Moscheles più volte fa riferimento alle dita di Cramer «che scivolano dolcemente di tasto in tasto». Charles Salaman, esperto pianista inglese, ha ricordato Cramer dalla sua giovinezza come un pianista quasi immobile: «Era un piacere guardare la grazia naturale con la quale Cramer muoveva le sue mani, con le dita piegate a coprire la tastiera». E Moscheles paragonava il suo Mozart ‘ai sospiri del profondo Sud’.
Dobbiamo a Ignaz Moscheles un ritratto scritto di Cramer. Moscheles, in quanto giovane virtuoso a Londra, ebbe molto a spartire col collega più anziano. «Cramer», scrisse, «fu incredibilmente tanto un intellettuale che una persona divertente: ha un eccellente vena satirica e non risparmia né le sue debolezze né quelle degli altri. È uno dei più accaniti consumatori di tabacco da fiuto. Le brave governanti sostengono che dopo ogni visita del grande maestro il pavimento deve essere ripulito dal tabacco che ha rovesciato per terra; mentre io, come pianista, non posso perdonarlo per aver sfigurato con l’uso del tabacco le sue aristocratiche, lunghe sottili dita, con le loro unghie ben sagomate, con il risultato di ostruire l’azione dei tasti».
Cramer dovette averne usato in gran quantità. «Quelle dita sottili e ben modellate erano perfette per il legato; scivolavano impercettibilmente da un tasto all’altro e, dove possibile, evitavano sia i passaggi di ottave che di staccato. Cramer canta in tal modo sul pianoforte che quasi trasforma un andante di Mozart in un pezzo vocale. Ma devo dissentire dalla libertà che si concede nell’uso dei suoi, spesso banali, abbellimenti». Moscheles solleva la vecchia questione del ‘gusto’. Al tempo in cui Moscheles ascoltò Cramer, le idee di quest’ultimo sugli abbellimenti erano divenute obsolete. Stava per cominciare il tempo del Romanticismo.
Cramer visse a lungo abbastanza per diventare una leggenda per i romantici. […]. Morì nel 1858 e i pianisti giovani lo guardavano con un insieme di rispetto e (essendo giovani) di divertita tolleranza. Prendevano in giro bonariamente il santo venerabile maestro. Quando Liszt era a Londra nel 1841 suonò alcuni duetti con Cramer. Liszt ne fu molto divertito. […]. L’anno successivo Wilhelm von Lenz, quel giovane ragazzo invadente e sè-dicente pianista, ascoltò Cramer a Parigi. (Dopo il 1832 Cramer aveva già lasciato Londra per vivere e insegnare a Parigi; suonò i duetti con Liszt durante una visita a Londra). Von Lenz ricordava che aveva ascoltato Cramer nel 1829 e ne era rimasto estasiato. Prese un appuntamento con Cramer, quel giorno nel 1842, e aspettò tremante quel venerabile Beda dei pianisti. Incontrò un vecchio uomo conservatore, a cui non piaceva ciò che vedeva intorno. Lenz voleva parlargli del presente, mentre Cramer preferiva parlare del passato. Dopo la cena Cramer si sedette al pianoforte e suonò i suoi tre primi studi. Von Lenz ne rimase sconvolto «Fu secco, legnoso, duro, senza nessuna ‘cantilena’ [cantabile n.d.r.] nel terzo, quello in Re maggiore. Fu doloroso: era questo Cramer? Quel grande uomo aveva vissuto così a lungo per poi rimanere così indietro sui tempi? Era stato così. Aveva vissuto la sua vecchiaia avvolto nel mantello dei suoi Mozart e Bach, stando in tutta evidenza ben lontano dai giovani rivoluzionari del pianoforte. Occasionalmente un giovanotto, come von Lenz, avvicinava il patriarca. Il vecchio inveiva contro la scuola moderna, l’insensata bravura, lo sforzo per la sonorità, che chiamava la haute gymnastique musicale. «Questa musica è troppo forte per i miei poveri occhi, per le mie dita di vecchio», diceva. «Prima il modo di suonare era assai buono [per apprezzare il gioco di parole: «fort bien» testuale di Cramer, «mighty good» nel testo n.d.r.] ora è assai forte [«bien fort», testuale, «good and mighty» nel testo].
Un sentito ringraziamento a Barbara Lewis per la consulenza sulla traduzione.
Tratto e tradotto da:
Harold C. Schonberg, The Great Pianists: From Mozart to the Present, completely revised and updated, Simon & Schuster, New York 1987, pp. 67-70.
Immagine:
Two men at a fireside table taking snuff, remarks on snuff-taking below. Acquaforte a colori, 1825 circa.