Le annotazioni di Beethoven sui 21 studi di Cramer rivelano un approccio interpretativo inedito
La raccolta di studi di Johann Baptist Cramer Studio per il Pianoforte fu dapprima pubblicata a Londra in due volumi da 42 pezzi ciascuno, rispettivamente nel 1804 e nel 1810. La raccolta fu poi integrata con ulteriori 16 studi nel 1835.
Si tratta della prima opera dedicata specificamente a una forma destinata a fini tecnico-didattici, alla quale si succedettero rapidamente lavori analoghi di diversi compositori che animarono la scuola pianistica londinese.
Beethoven annotò con le sue indicazioni 21 studi di Cramer
Beethoven, estimatore di Cramer, individuò nella raccolta quegli elementi che evidentemente reputò imprescindibili per l’insegnamento e per il quale avrebbe voluto scrivere un metodo personale, senza trovarne il tempo. Scelse quindi 21 studi tratti dal primo libro, sui quali annotò alcune preziose indicazioni, molto rivelatrici di quali fossero i fondamenti dei suoi principi didattici.
Anton Schindler: un personaggio controverso eppure fondamentale
Gli appunti ci sono pervenuti attraverso una copia dello Studio appartenuta ad Anton Schindler.
Schindler fu suo biografo, amico e segretario, il quale riportò le parole del grande compositore sui 21 studi contraddistinguendole con il nome ‘Beethoven’.
Egli firmò personalmente le osservazioni su quasi tutti i restanti con la sigla ‘A. S.’, probabilmente scrivendo quanto ascoltato da Beethoven stesso nel corso della loro frequentazione. Schindler fu però un personaggio ritenuto non sempre attendibile dalla comunità degli studiosi. La comunità infatti ha indagato a lungo sulle annotazioni attribuite a Beethoven, sollevando nel tempo diverse perplessità, tuttavia oggi largamente superate.
Lo Studio si fondò su stili e principi musicali ineludibili per Beethoven
Se consideriamo che Cramer fu capace di riversare nello Studio l’eredità immensa di compositori come Bach e Scarlatti, nonché una grande attenzione al legato e alla cantabilità, è ben comprensibile che Beethoven abbia reputato questo materiale idoneo non soltanto alla sua attività didattica (lo utilizzò infatti nell’insegnamento al nipote Carl), ma anche ad essere particolarmente adatto per la sua geniale poetica. In Beethoven as I new him: a biography, Schindler scrisse infatti che il grandissimo compositore considerò i 21 studi come propedeutici a comprendere e suonare le sue opere.
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L’importanza della conoscenza e delle applicazioni delle annotazioni di Beethoven
Le annotazioni di Beethoven riguardarono diversi aspetti interpretativi. Tra questi, il più significativo, e allo stesso tempo il più lontano dai criteri oggi comuni, fu l’estrema attenzione per la prosodia, cioè per i piedi metrici quantitativi, e più in generale per la distribuzione degli accenti ritmico-melodici inerenti ciascuno studio. La considerazione per la prosodia ebbe radici profonde nel mondo antico. L’insistenza con cui il compositore ne ribadì l’importanza evidenzia come, ai primi dell’Ottocento, la corretta accentuazione fosse ancora un caposaldo imprescindibile per una buona esecuzione.
Beethoven sottolineò nella maggior parte degli studi soprattutto la presenza del piede trocheo, cioè la successione di due suoni, di cui il primo lungo, che nella pratica equivale a un appoggio leggermente prolungato, e il secondo breve. Questo procedimento ne chiama spesso in causa un altro, sua diretta conseguenza: una pronuncia non equamente ripartita in durata tra valori uguali, vale a dire quell’inégalité così cara alla prassi esecutiva della scuola francese, e non solo, nel XVII e XVIII secolo.
Se da una parte quindi si deduce agevolmente che anche il suonare inégal perdurò agli inizi del diciannovesimo secolo, dall’altra le indicazioni beethoveniane mostrano un’estensione più plastica e personale della prassi consueta (basti pensare, per esempio, all’elusione dell’applicazione esclusiva ai gradi congiunti). Altre tematiche non meno significative furono una pratica particolare del legato e del tenuto, sia in contesti nei quali la scrittura non li prescrisse dettagliatamente e sia in quegli studi di apparente matrice esclusivamente tecnica.
Tali attitudini comportarono, inoltre, l’estrapolazione di melodie non espressamente indicate, e perciò generatrici di una cosiddetta polifonia ‘nascosta’, rivelata appunto attraverso suoni tenuti e frutto di un’attenta interpretazione piuttosto che fissata letteralmente dal testo.
La testimonianza di Schindler sulle «intenzioni di Beethoven»
«Le intenzioni di Beethoven» furono espresse in maniera netta e toccante dalle parole di Anton Schindler:
«All’eventuale domanda del perché io non abbia reso pubbliche le istruzioni d’uso di questi studi […] può servire come risposta che l’indirizzo imperante da trenta anni nel suonare il pianoforte, che conosce come unica esigenza la tecnica, non avrebbe prestato alcuna attenzione a questo metodo che va in direzione opposta. Deve venire un altro tempo, che si sforzi di interpretare la musica strumentale di ogni genere dal lato spirituale, così solo sarà aperta la strada alla comprensione delle intenzioni di Beethoven. Da parte mia posso confermare che questa strada assai poco stimata è invece molto faticosa. Senza la buona conoscenza dei metri giambo trocheo, dattilo e spondeo, come delle analoghe forme poetiche, lo studente non può capire su cosa si fonda tutta la musica strumentale, perché da questa conoscenza dipende l’arte dell’accentuazione corretta e della distinzione fra lunghe e brevi negli incisi musicali. La giusta declamazione della poesia serve per analogia.»
Anton Schindler
Il progetto di indagine e registrazione dei 21 studi
Certamente il pianoforte che conobbe Beethoven fu molto diverso da quello attuale. Tuttavia suonare una tastiera odierna cercando di recuperare, ove possibile, criteri per così dire ‘antichi’ ha ancora molti margini di applicazione. Nonostante l’assetto meccanico dello strumento moderno: le questioni di base poste da Beethoven aprono uno scenario concettualmente diverso e assai sorprendente. Le talvolta scarne e lapidarie indicazioni del compositore, in maniera particolare quelle inerenti principi non più in auge quali l’accentuazione, hanno fatto sì che eminenti studiosi come William Newman le abbiano giudicate di difficile comprensione e di enigmatica applicazione, sebbene lo stesso fu il primo a tentarne un approccio nelle sonate di Beethoven.
Proprio su queste latenze e, al contrario, sulla luce che approfondimenti relativamente recenti hanno acceso sul complesso concetto dell’accentuazione, ho strutturato un progetto di analisi e registrazione dei 21 studi, sfruttando la circostanza che le annotazioni beethoveniane riguardassero la forma studio, cioè il mezzo tecnico-didattico per eccellenza, e condividendolo quindi con alcuni allievi della mia classe di Pianoforte presso il Conservatorio di musica di Foggia.
Per un anno abbiamo esaminato parola per parola le annotazioni di Beethoven, confrontando i suoi assunti con le teorie dei numerosi trattati della seconda metà del Settecento e con gli approfondimenti a riguardo.
Ne sono emerse implicazioni tecniche ed interpretative assolutamente peculiari e ricche di fascino, appena riversate in una registrazione (settembre 2021) effettuata sullo Steinway gran coda dell’auditorium del conservatorio, presto a disposizione per ascolto e confronto, una volta completata la fase di post produzione.
Bibliografia:
A. Schindler, Beethoven as I knew him, translated by Constance S. Jolly and annotated by Donald W. MacArdle , Chapel Hill: The University of North Carolina Press 1966.
J. B. Cramer, 21 Etfidenftir Klavier, edited by Hans Kann, Wien, Universal Edition 1974.
W. Newman, Yet Another Major Beethoven Forgery by Schindler?, The Journal of Musicology, Vol. 3/4, 1984.
W. Newman, Beethoven on Beethoven: Playing His Piano Music His Way, New York: Norton 1988.
S. Rosenblum, Performance Practices in Classic Piano Music, Bloomington: Indiana University Press, Bloomington 1988.
D. Karydis, Beethoven’s annotations to Cramer twenty-one piano studies: context and analysis of performance, Presented in Partial Fulfillment of the Requirements for the Degre, ‘Doctor of Musical Arts’ (DMA), City University, Music Department, March 2006.
E. Fadini - M. A. Cancellaro: L’accentuazione in musica. Metrica classica e norme sette-ottocentesche, Milano, Rugginenti 2009.
Immagini:
The Clementi School of Piano (New York Public Library, Music Division, Joseph Muller Collection of Music and Other Portraits). Clementi è ritratto al centro, Cramer in alto a sinistra, Hummel in alto a destra, Kalkbrenner in basso a sinistra e Moscheles in basso a destra.
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