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La Sonata seconda della Raccolta Clementi di Ferdinando Turrini: uno scrigno di importanti informazioni

Turrini Primo movimento seconda sonata della raccolta Clementi, Frontespizio

Il rubato settecentesco, la condotta dei trilli e l’inégalité attraverso «l’immensa fatica» della dettatura

La Sonata seconda della Raccolta Clementi, in origine la Sonata terza della precedente Raccolta Mangili (1795), è una delle più rappresentative di Turrini, non a caso oggetto di una rimarchevole considerazione dello studioso William Newman:

«In Sonata 2, all in E, the plan of movement is unusual not only for being in the order S-F-S but for the fact that the finale, approached by a half cadence at the end of the middle movement, is a free repetition of the opening movement. Because it has a little of the contemplative, philosophical quality of a late Beethoven slow movement […]».

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La forma-sonata tardò ad affermarsi compiutamente nell’Italia di fine Settecento

È bene ricordare che alla fine del Settecento la forma-sonata in Italia non era ancora altrettanto consolidata che oltralpe a causa della forte tradizione per l’Opera del Paese.

E infatti questa sonata in mi maggiore si presenta innanzitutto in un assetto particolare. L’originale successione dei movimenti lento/veloce/lento giustamente notata da Newman («Larghetto sempre legato e sostenuto»/«Allegro/«Tempo di prima»), ma anche perché l’idea nascente della struttura bitematica-tripartita, tipica della forma-sonata e riservata al primo movimento, tenta in questo caso di distribuirsi piuttosto nella sua intera costruzione. Infatti, la ripetizione più ornata del primo movimento («Tempo di prima») dopo il secondo («Allegro») costituisce un unicum di breve interezza. Ognuno dei tre tempi accenna alla disposizione della forma canonica (esposizione, sviluppo e riesposizione).

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Le straordinarie peculiarità del I movimento: «Larghetto sempre legato e sostenuto»

Il tema iniziale presenta l’indicazione «Larghetto sempre legato e sostenuto». Nel Metodo completo pel Piano-Forte di Muzio Clementi (1801) la parola «sostenuto conviene al Largo, al Larghetto e all’Andante» e richiede di «dare a qualunque nota ed a ciascuna battuta tutto il loro valore».

Questi concetti trovano la loro esatta collocazione soprattutto nel basso. Il basso assicura con suoni lunghi e tenuti per tutto il movimento un sostegno armonico e di risonanza sul quale scorre un tema assai espressivo e riccamente ornato.

Il brano, di appena 32 misure, presenta almeno due aspetti molto significativi, il primo dei quali comune anche ad altre sonate di Turrini:

  1. i trilli riportano spesso le diciture «largo» e «stretto» per indicarne la densità delle ripetizioni e talvolta anche l’indicazione «stretto crescendo». Questo rivela, di conseguenza, la destinazione delle composizioni piuttosto al pianoforte che non al cembalo. A volte, queste stesse indicazioni sono precedute da una piccola preparazione scritta che forma, insieme al trillo stesso, un movimento continuo di gradi congiunti, ora lento e ora veloce, conferendo con mezzi semplicissimi un tocco di originalità e fantasia ‘guidata’ dalla scrittura: una sorta di testimonianza sulla partitura di come il compositore, non vedente, eseguisse un determinato passaggio chiedendone trascrizione fedele al copista.
  2. La circostanza che nella versione a stampa, controllata personalmente da Turrini, la pratica del rubato settecentesco sia stata volutamente e ulteriormente ‘fissata’ attraverso la precisione della scrittura e cioè sfasando la scrittura della melodia rispetto a quella del basso. A cavallo delle battute numero 7 e 8 delle due versioni manoscritte, i copisti si limitarono a trascrivere ad esempio un passaggio ornato come d’abitudine, cioè facendo cadere la risoluzione del trillo in perfetta sincronia con la parte del basso. Detto passaggio ornato comincia peraltro con una sfasatura sul basso indotta da una legatura di valore, una caratteristica costante di tutto il movimento, in cui spesso la melodia e i suoi ornamenti si insinuano negli spazi risonanti di un basso in style luthé.

Turrini perseguì la massima fedeltà della notazione per la sua musica

Entrambe le caratteristiche testimoniano della straordinaria caparbietà del compositore nell’esigere la massima fedeltà della notazione alla sua musica. Fedeltà che fu riscontrata, a causa della cecità sopravvenuta nel 1773, esclusivamente dalla percezione uditiva.

Turrini parla espressamente di questa menomazione, e della «immensa fatica che ho dovuto sostenere in dettandole», nella toccante prefazione posta all’inizio del primo volume della Raccolta Clementi, indirizzata proprio al grande musicista romano:

Signore

Ammiratore da lungo tempo qual sono del musico vostro genio, e desioso di far palese anche al pubblico quanto sia grande la stima che io fo dei vostri talenti, a Voi intitolo queste mie dodici Sonate, e vi prego quali si sieno, di aggradirle. Non cercate in esse quel finissimo gusto, quella vivacissima fantasia e quella regolarità di condotta che distinguon le vostre e pongonvi in cima agli scrittori di prima classe – Grazie ch’a pochi’l ciel largo destina – basta che vi siano accette per la loro, se mi è lecito il dirlo, legittimità; che sono figlie del mio solo ingegno e d’un’immensa fatica, che ho dovuto sostenere in dettandole, privo affatto qual sono sin dall’anno 1773 del più prezioso dei sensi la vista. Questa considerazione le terrà più raccomandate a Voi e le farà, se non mi appongo, presso il pubblico più compatite. Ma in qualunque maniera si giudichi delle figlie, io sarò contento appieno, se persuadono a tutti la stima che il padre fa del vostro merito, e se giungono ad acquistargli l’onorato nome di sincero amico. Il che se vi piaccia concedermi, renderete felice un oppresso dalla maggiore di tutte le disavventure. Ad ogni modo sarò

Vostro Servo

Ferdinando Turrini detto Bertoni

Brescia, lì 15 Nov.bre 1807

L’«immensa fatica» della dettatura e la totale corrispondenza del segno all’idea musicale

Dunque, l’«immensa fatica» della dettatura di Turrini dalla tastiera dovette comportare anche l’attento ascolto del compositore dell’esecuzione da parte del copista-strumentista. La cecità, vissuta ovviamente come gravissima menomazione, determinò in lui un’attenzione estrema alla precisione della scrittura. Quest’ultima guidata non dalla percezione paradossalmente più sommaria dell’occhio, essendo quest’ultimo in grado di ‘tradurre’ dalla carta alla prassi secondo i canoni correnti, ma da quella infallibile dell’orecchio. Orecchio certamente più sensibile, e bisognoso di una totale corrispondenza tra segno ed effetto.

La non coincidenza della nota finale della risoluzione del trillo con la nota in battere del basso e, più in generale, una certa cura – quella di chi, non potendo vedere, si preoccupa dell’esattezza sonora della trascrizione della sua idea – rappresentano perciò la ferma intenzione di indurre la pratica del rubato non lasciando alcuno spazio alla libera interpretazione.

Il terzo movimento, che come già detto, è una ripetizione ornata del primo, spinge ulteriormente in questo senso, sia attraverso l’incremento dell’ornamentazione scritta e l’introduzione di nuove sfasature della melodia con il basso, sia precisando la successione inégal di gradi congiunti ascendenti della battuta n. 16, successione assente nelle versioni manoscritte, con note rigorosamente puntate.

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La sorprendente introduzione del Miin coda al terzo movimento «Tempo di prima»

Dopo questa serie di accorgimenti, tutti ab origine riferibili alla pura prassi settecentesca, Turrini, nella rielaborazione per la stampa, procedette a una modifica della versione manoscritta. Egli introdusse una sorprendente novità, cioè traspose di un’ottava sotto il mi grave conclusivo. Nella battuta finale della stampa spicca infatti il Mi0, non facilmente riscontrabile nella musica per tastiera in Italia e nell’Europa continentale. Tutto ciò conferma, anche attraverso l’analisi della sua vita, la tesi di un musicista informato e dinamico. Contemporaneamente ciò offre spunti di riflessione sull’estensione delle tastiere in uso al tempo.

La differente estensione delle tastiere inglesi e l’omaggio a Muzio Clementi

Il Mi0 non era disponibile nell’estensione comune di cinque ottave e mezzo degli strumenti in circolazione in Italia e nel nord Europa (da Fa0 a do5). In Inghilterra, invece, gli strumenti disponevano di tastiere più estese nel registro grave da molto tempo prima. Intorno al 1775 Haydn aveva acquistato da Schudi and Broadwood un cembalo con dispositivo denominato “finestra veneziana”. Il cembalo venduto ad Haydn era già dotato del Do grave (Do0) al basso.

Turrini dovette essere ben a conoscenza della maggiore ampiezza delle tastiere inglesi. Al momento del progetto di stampa della raccolta di sonate, con straordinario tempismo, Turrini dedicò le sonate a Clementi. Proprio nel 1807 Clementi era in visita in Italia e dagli inizi di novembre fu proprio a Milano. È perciò verosimile che quella significativa modifica dell’estensione fu praticata sia per omaggiarlo, sia per favorire la commercializzazione delle sue composizioni anche in Inghilterra. Egli nutrì certamente la speranza di un interesse da parte di Clementi, ormai non solo affermato compositore, ma anche costruttore di strumenti ed editore.

Conclusioni

La Sonata seconda della Raccolta Clementi condensa, soprattutto nelle poche misure del suo primo movimento, una serie di rare indicazioni relative alla prassi esecutiva. Tutto questo è reso possibile grazie all’estrema cura della scrittura con la quale il compositore cercò di redigerla per la versione a stampa. Il rubato e l’esecuzione plastica dei trilli furono infatti indotti perfezionando le precedenti versioni manoscritte con ulteriori precisazioni. Allo stesso tempo, l’intera composizione traccia un fedele ritratto del musicista, formato da una solidissima scuola settecentesca. Tuttavia è evidente quanto Turrini fosse proiettato verso le straordinarie innovazioni di fine secolo. Periodo che incluse l’affermazione della forma-sonata e la transizione definitiva dal clavicembalo al fortepiano.

La trasposizione  nell’ultimo movimento del mi grave a un’ulteriore ottava inferiore, una nota estranea all’assetto degli strumenti normalmente a disposizione nell’Europa continentale, dimostra inoltre come Turrini conobbe e tenne in grande considerazione la produzione musicale ben oltre quella italiana, con particolare riferimento e stima per quella di Muzio Clementi, stabilitosi in Inghilterra dal 1766.


Immagine:

  • Primo movimento, Seconda Sonata della Raccolta Clementi.

Bibliografia:

  • Ferdinando Turrini, DODECI SONATE / Per il Cembalo Pianoforte divise in quattro parti / Dedicate / AL SIG.R  MUZIO CLEMENTI ROMANO / Da Ferdinando Gaspare Turrini di Salò / Del / Dipartimento del Mella, I libro, G. M. e Fratello Ubicini, Milano 1807, da me catalogata come Raccolta Clementi. Di questa raccolta è stato finora possibile rintracciare solo il primo libro dei quattro annunciati nel titolo.
  • William S. Newman, The Sonata in the Classic Era, W. W. Norton & Company, New York 19833.
  • Muzio Clementi, Metodo completo pel Piano-Forte (1801), ristampa anastatica, Arnaldo Forni editore, Sala Bolognese 2000.
  • Dizionario Enciclopedico della Musica e dei Musicisti, Il Lessico, I, Utet, Torino 1983, tav. 49, nota 2.

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La musica, ovvero la nostalgia del suono

Giusy De Berardinis


1 commento su “La Sonata seconda della Raccolta Clementi di Ferdinando Turrini: uno scrigno di importanti informazioni”

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